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Cape Fear-Il promontorio della paura |
Lollina ex "lolly19"
Reg.: 11 Gen 2002 Messaggi: 19693 Da: albenga (SV)
| Inviato: 19-05-2005 19:22 |
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Una curiosità:
In questo remake recita anche Gregory Peck, che a suo tempo ha interpretato nel film originale, la parte del giudice protagonista, che nel remake è affidata a Nick Nolte.
_________________ Perchè sentiamo la necessita' di chiaccherare di puttanate, per sentirci a nostro agio?E' solo allora che sai di aver trovato qualcuno di davvero speciale,quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace. |
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gatsby
Reg.: 21 Nov 2002 Messaggi: 15032 Da: Roma (RM)
| Inviato: 19-05-2005 20:36 |
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MontyB
Reg.: 22 Nov 2006 Messaggi: 156 Da: novara (NO)
| Inviato: 29-11-2006 01:48 |
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Remake dell'omonimo film di Jack Lee Thompson del 1962, "Cape Fear - Il promontorio della paura" fu affidato a Martin Scorsese dopo la rinuncia di Steven Spielberg. E' quindi una pellicola "commissionata" da Hollywood al cineasta newyorkese, il quale riesce però a confezionare un'opera perfetta, con la giusta dose di suspense e di terrore. Bob, dalla sua, tratteggia con immensa incisività un personaggio sadico e
represso, fanatico religioso (i tatuaggi siti in varie parti del suo corpo ne sono la prova) e uomo molto scaltro, che si diverte a giocare a nascondino con l'avvocato e la sua famiglia. Nick Nolte è da plauso con la sua interpretazione di un avvocato di alto livello, ma padre ambiguo, debole ed egoista, che deve fare i conti con la sua coscienza sporca. Jessica Lange, invece, non entusiasma nella sua nevroticità, mentre una bella caratterizzazione ci viene offerta da Juliette Lewis, ingenua lolita di kubrickiana memoria, che cede alle avancès e alle lusinghe del cattivone Cady. Da menzionare sono, poi, i camei degli attori del film originale, Robert Mitchum, anziano poliziotto sulle tracce dello psicopatico (curioso notare come nella pellicola del 1962 interpretasse il ruolo che qui è di De Niro) e Gregory Peck, qui avvocato difensore di Cady durante il processo contro Bowden (nell'originale, Sam Bowden). Altra nota di valore è la colonna sonora con musiche del grande Bernard Herrmann (già compositore della colonna sonora di "Taxi Driver"), adattate da un altro "maestro", Elmer Bernstein.
_________________ Affanculo io???
Vacci tu!!! |
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Richmondo
Reg.: 04 Feb 2008 Messaggi: 2533 Da: Genova (GE)
| Inviato: 12-11-2008 15:09 |
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Cape fear - il promontorio della paura. Ovvero storia di sensi di colpa, fra doppio, promiscuo e apparente.
Ciò che porta Martin Scorsese, più visionario ed allucinato "dalla realtà" di come non si pensi, così lontano dal semplice noir, seppur giocato ottimamente sull'escalation della paura, ad opera di J. L. Thompson - Il promontorio della paura (1962) - è un'attenzione quasi maniacale per il doppio e l'apparenza.
Nell'opera del predecessore Thompson, il già citato Il promontorio della paura del 1962, i ruoli erano già ben stabiliti e nulla di ambiguo, il regista, tentava di suggerire allo spettatore. C'era un buono e c'era un cattivo. Volendo c'era l'irrazionalità della paura, la violenza cieca ed animale che si abbateva con spietata crudeltà sul candore della civiltà moderna. Ma nulla di più. La luce e l'ombra. Il bianco ed il nero. Una bella storia. Ma antica quanto il mondo.
Nel film di Scorsese, invece, girato nel 1991 con la falsa pretesa di essere il remake della pellicola di Thompson, in realtà, si perde molto di tutto ciò, per andare ad acquisirsi però molto di più.
Non c'è più l'accentuata contrapposizione, di stampo manicheista, fra il bene ed il male, bensì un torbido mischiarsi di questi due elementi etici, in un progressivo scomparire dietro alla vista, dietro agli occhi che vedono il mondo. Quindi dietro al (e prima del) giudizio, per indagare con arguzia e molta malizia sull'integrità morale degli stessi protagonisti del film. Scorsese punta molto sugli occhi dei suoi personaggi. Il film si apre proprio da un dettaglio, le pupille ipnoticamente concentrate a catturare il nostro sguardo (attraverso un uso cromatico ed un passaggio dal colore al bianco e nero) di Juliet Lewis, che ripesca dalla memoria un fattaccio vissuto in prima persona.
E da qui la tiepida provincia americana, solare e pacifica, silenziosa e placida come ben la conosciamo, si rivela per il covo i vizii e perversioni che realmente è, finendo per affondare nel mare del suo bieco conformismo anche l'unica parte apparentemente genuina che effettivamente può giudicare deliberatamente, essendo a suo modo stata l'unica ad essere già stata giudicata: Max Cady. Un Robert De Niro che, ancora una volta, regala una performance sopra ogni aspettativa.
Così Cape fear inverte i canoni del film sulla violenza e sulla sua (a)moralità, confondendo i contorni, sovvertendo gli ordini etico-sociali e, soprattutto, tramutando i giudici in giudicati. Oltre ai frequenti dettagli sugli occhi, c'è anche uno speculare senso per l'antagonismo, non più fra bene e male, ma fra il singolo e la sua doppia identità, fra l'innocenza e la colpevolezza, all'interno però del medesimo personaggio. L'acqua, amalgama, confonde, permette di immedesimarsi, ma riflete anche. L'acqua è l'elemento d'apertura (i titoli di testa) e di chiusura del film, la sola sostanza capace di rendere il giudizio davvero effettivo e di porre la parola fine alla fase introspetiva della vita dei suoi protagonisti.
E ancora....gli occhi, uno scambio di sguardi, il passaggio dall'innocenza alla colpevolezza in uno solo gioco di montaggio fra due o tre inquadrature (le pupille di Nolte e quelle di De Niro, com a fondersi in un unica colpevole personalità).
Spettatore e protagonisti finiscono per fare i conti con se stessi. Perché il momento della verità si avrà solo in conclusione d'opera e si avrà la certezza, andando avanti, che anche se all'apparenza il protagonista ha agito in buona fede, in realtà si è macchiato della colpa di giudizio senza prima indagare se un po' di colpa, in quella marca società, non l'avesse pure lui.
La famiglia non è più il nido, perfetto e caldo, di sentimenti e candore, ma un acquario deformato (e distorto dal perfido obiettivo di Martin Scorsese) che reca in sé i germi del tradimento, della promiscuità e della perversione. Ogni personaggio, tranne Cady, appare per quello che non è. Come in un gioco di doppie identità, di immagini riflesse e simulacri perfetti nella forma, decomposti nella sostanza.
La stessa adolescente interpretata dalla sensuale Juliette Lewis è proprio l'emblema della ambiguità, di finta innocenza.
E l'unico personaggio già marchiato (tatuato), indubbiamente disgustoso, ma almeno genuino, è proprio il crudele Max Cady. Il male che ritorna sulla terra per mettere una famiglia di fronte alle proprie ipocrisie.
_________________ E' meglio essere belli che essere buoni. Ma è meglio essere buoni che essere brutti. |
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